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Cos'è il greenwashing?
Il greenwashing è una pratica di marketing ingannevole (talvolta portata avanti inconsciamente) con cui alcune aziende dimostrano un finto impegno nei confronti dell’ambiente con l’obiettivo di catturare l’attenzione degli stakeholder.

ATTENZIONE

Il danno economico e reputazionale

è dietro l’angolo!

Al giorno d’oggi essere green sembra una moda e, come spesso accade con le mode, arrivano “i falsi”. Nel caso del green i “falsi” sono contrassegnabili con la parola “greenwashing”, sebbene ci capiti di sentire questo termine utilizzato con un’accezione positiva (sigh!): funzionari d’imprese che desiderano diffondere le proprie azioni virtuose talvolta dicono “potremmo fare un po’ di greenwashing”. Beh, non è proprio il caso: il greenwashing non è la comunicazione di azioni green, bensì una comunicazione truffaldina riguardo ad ambientalismo di facciata.

COS’È IL GREENWASHING

L’urgenza del risparmio e dell’indipendenza energetiche sono chiare alle imprese, che hanno quindi un forte interesse a comunicare agli stakeholder (clienti, fornitori, istituzioni, investitori, …) le loro azioni green. Capita però che le aziende comunichino azioni green inesistenti o che non si basano su fondamenta solide; peggio ancora, capita che comunichino azioni che credono essere esistenti e solide… quando invece non è così. Insomma: il rischio (anche reputazionale) è dietro l’angolo!

Ma quindi, cos’è il greenwashing?

È una pratica ingannevole usata come strategia di marketing da alcune aziende per dimostrare un finto impegno nei confronti dell’ambiente con l’obiettivo di catturare l’attenzione dei consumatori, fornitori, istituzioni e investitori attenti alla sostenibilità. Viene portata avanti attraverso campagne e messaggi pubblicitari o in qualche caso persino iniziative di responsabilità sociale.

L’obiettivo del greenwashing quindi è duplice: valorizzare la reputazione ambientale dell’impresa e ottenere i benefici in termini di fatturato e profitti, occultando il reale impatto ambientale negativo. Questa pratica è sanzionata in Italia dallo IAP (Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria) e dall’antitrust.

LE RACCOMANDAZIONI ONU SUL GREENWASHING

Proprio relativamente al greenwashing, alla Cop27 del 2022 un gruppo di esperti di alto livello delle Nazioni Unite ha presentato una serie di raccomandazioni pratiche per investitori e contribuenti privati come aziende, compagnie finanziarie, città e regioni. L'obiettivo è porre fine alle pratiche di greenwashing, in favore di misure vere che aiutino sulla strada verso il net zero.

Al Cop27 è stato presentato un rapporto ONU, risultato del lavoro congiunto di 17 esperti nominati dal Segretario generale delle Nazioni Unite e contenente raccomandazioni pratiche per garantire e migliorare l'integrità, la trasparenza e la responsabilità al net zero, fissando standard e criteri chiari.
Il punto fondamentale è che qualunque azienda o ente privato non possa venire considerato Net zero se continua a investire in combustibili fossili o contribuisce in qualche modo alla deforestazione o altre attività distruttive per l'ambiente. Per lo stesso motivo, ci si aspetta che le azioni intraprese siano effettive (come la riduzione delle emissioni lungo la catena produttiva) e non si limitino ad acquistare crediti di carbonio. L'acquisto di certificati che compensano (invece di ridurle!) le emissioni deve essere conservato per gli ultimi anni di net zero e, se utilizzato, deve essere attendibile e proveniente da una fonte affidabile e verificabile.
Aziende, imprese e regioni devono quindi presentare dei piani per il clima che possano essere considerati efficaci, garantendo risultati abbastanza rapidi in termini di rilascio di gas serra in modo da soddisfare i requisiti dell'accordo di Parigi. In particolare, per limitare il riscaldamento della Terra a 1,5 gradi, gli obiettivi fissati devono essere raggiunti sul breve termine, entro il (e prima del) 2030. Le aziende devono anche presentare rapporti annuali dettagliati sui progressi compiuti, che possano essere controllati e verificati in modo indipendente da esterni. Le aziende e le regioni che utilizzano molta terra devono garantire, entro il 2025, di interrompere qualsiasi pratica di deforestazione. L'impegno, infine, non deve limitarsi alla propria rete privata ma deve essere globale: occorre stabilire e prevedere, all'interno dei piani aziendali e regionali, un flusso di denaro verso i Paesi in via di sviluppo.

Allo studio una direttiva europea contro il greenwashing

Meanwhile,

in Unione Europea e Italia…

Parallelamente all’ONU, è allo studio una direttiva europea contro il greenwasing.

La bozza della "Directive of the European Parliament and of the Council on Green claims" della Commissione Europea mira sia ad aiutare i consumatori a fare scelte informate e concrete su ciò che acquistano, sia a penalizzare le aziende che abusano di dichiarazioni #green false o non comprovate.

Insomma: sanzioni in arrivo per chi usa termini green non comprovati.

In Italia, invece, l'Ispra ha istituito una taskforce proprio per la trasparenza e la finanza sostenibile contro il greenwashing.

 

 COME SI DISTUINGUE IL GREENWASHING

Il greenwashing si riconosce osservando criticamente la comunicazione aziendale. In particolare, occorre fare attenzione a:

  • uso del linguaggio, che può essere troppo vago e aleatorio o, al contrario, talmente tecnico da risultare fuorviante e incomprensibile;

  • indicazioni vaghe sul prodotto o un processo, tanto che il loro stesso significato può essere frainteso;

  • divulgazione di dati ambientali non supportati da terze parti o da informazioni facilmente reperibili;

  • uso di immagini che raffigurano soggetti naturali o con prevalenza del colore verde per rievocare l’ambiente e quindi l’interesse del marchio verso l’ecologia;

  • inserimento di certificazioni contraffatte o etichette false.

Perché un marchio possa definirsi sostenibile, è inoltre importante che tutto il processo debba essere rivoluzionato e reso a basso o a zero impatto ambientale: non è sufficiente lavorare a compartimenti stagni o solo sulle aree di business più “comode” per questo scopo.

  

COME DIFENDERSI

In Italia manca una legislatura organica e specifica per contrastare il greenwashing che, di fatto, è considerato pubblicità ingannevole, in capo all’Antitrust fino al 2014.

Nel 2014 è poi stato introdotto l’articolo 12 del Codice di Autodisciplina della comunicazione commerciale, che ha stabilito come la vigilanza spetti all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. Il compito dell’Autorità è di vigilare e reprimere la pubblicità ingannevole e sanzionare le aziende che praticano il greenwashing. Le sanzioni economiche possono arrivare a cinque milioni di euro. L’articolo 12 ha anche imposto direttive precise per la comunicazione e il marketing.

Ogni informazione data deve:

  • rispondere a criteri di trasparenza e standard di correttezza;

  • basarsi su elementi veritieri;

  • riportare dati scientificamente verificabili;

  • esplicitare chiaramente a quale aspetto del prodotto o dell’attività si riferiscono i benefici ostentati.

Fare (volontariamente o meno) greenwashing o interagire con realtà che lo attuano può essere molto rischioso sia dal punto di vista economico che dal punto di vista reputazionale. È quindi fondamentale informarsi e tutelarsi.

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